A QUATTR’OCCHI con Angelo Flaccavento

Faces by the Sartorialist: il progetto è iniziato a giugno, nato dalla volontà di Luxottica Group, leader nel mercato del luxury eyewear e Scott Schuman, fondatore del suo celebre blog The Sartorialist, per dare maggior risalto al prestigioso mondo dell’occhialeria di proprietà del Gruppo. Le intriganti photo gallery a cui da tempo Scott ci ha abituati, rivelano una quanto più intima e personale interpretazione dell’eyewear, attraverso scatti spontanei, reali, ritraenti personaggi tra i più stilosi, immortalati nelle principali “capitali della moda”: New York, Milano, Rio de Janeiro, Shanghai e Parigi.

Ma è il momento per Luxottica di eleggere un’altro personaggio icona, scelto per l’Italia e, naturalmente italiano: Angelo Flaccavento, diventato uno dei principali critici di moda, è stato il primo contributor “selezionato” da Scott Schuman. Attraverso il suo simpatico e ironico modo di vedere l’eyewear, il giornalista pone l’attenzione sul forte legame che unisce stile e praticità. Orgoglioso di essere Quattr’Occhi, nel suo percorso dice di volersi felicemente influenzare da: Exoticism, bohemia, London in the Sixties, the first punk, Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Irving Penn, Sarah Moon, Richard Avedon, Agota Kristof, the mid-century modern, rococo, masks, brutalism, Leigh Bowery, decadence, radicalism, loneliness, Japonism, maximalism, minimalism, absurdity, order, chaos, imperfections and errors. Le creazioni a cui ha dato vita Angelo Flaccavento sono disponibili al pubblico tramite post sul sito Face By The Sartorialist dal 15 ottobre 2014.

QUATTR’OCCHI 

Grazie ai geni paterni, mi ritrovo ad essere relativamente basso e decisamente scorbutico. La mia stempiatura peggiora pericolosamente ogni giorno che passa e porto gli occhiali da vista da che ho varcato la soglia dell’età adulta. Alla veneranda età di quarantadue anni e dopo quasi trentasette trascorsi a condividere qualunque esperienza con questo utile quanto invadente gingillo, fatico a ricordare i bei tempi in cui riuscivo a vedere un amico da lontano o guardare un film sul grande schermo senza alcun ausilio ottico. In compenso, nel frattempo mi sono guadagnato l’inestimabile opportunità di modificare il mio aspetto – e, quindi, la percezione della mia immagine – con ogni singolo paio di occhiali da me acquistato – che sono tanti, credetemi, ma mai troppi. Tornerò su questo punto a breve.

“Oculi de vitro cum capsula” bisbiglia un esterrefatto monaco nell’orecchio di un altro mentre un imperturbabile Sean Connery nei panni di Gugliemo da Baskerville estrae dalla bisaccia un rudimentale paio di occhiali per leggere un manoscritto in una memorabile sequenza del film Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud, adattamento del celebre romanzo di Umberto Eco. Occhi di vetro con una montatura: non esiste definizione migliore – e badate, questa è stata formulata nei bui recessi del Medioevo. Dopotutto, cosa sono gli occhiali se non un secondo paio di occhi, solo… meccanici e intercambiabili? In effetti, io sono quello che gli italiani amano soprannominare scherzosamente un “quattr’occhi”. Con i miei quattro occhi, appartengo alla comunità internazionale degli ipovedenti. E ne sono orgoglioso.

Un orgoglio, certo, conquistato con sudore. Posso dire infatti di amare i miei occhiali tanto quanto li detesto. La mia quotidianità dipende interamente da uno strumento esterno facile da rompere, rubare, dimenticare. E in fondo è giusto che sia così. Adoro l’idea che un paio di occhiali non sia per sempre e che possa abbinarlo ai miei outifit – come già faccio, d’altra parte. Sì, nutro perfino un perverso piacere nel percepirli in equilibrio sul naso. Il solo pensiero di indossare le lenti a contatto, invece, mi terrorizza: un pezzo di plastica nell’occhio? Siamo matti?! Per non parlare della chirurgia ottica. Gli occhiali sono il mio scudo, la mia firma, la mia coperta di Linus: un oggetto del desiderio.

Per quanto obiettivamente affetti da un deficit, i quattr’occhi sono una razza unica, oserei dire superiore. O almeno, questa è la mia opinione. Trovo che chi porta un paio d’occhiali incarni l’apice del fascino e dell’eleganza, ma con quel non so che di intellettuale e discreto che piace a me. Il fatto che appartenga a questo gruppo è del tutto casuale: sono certo che preferirei comunque i quattro’occhi, perché trasudano forza dietro un’apparente debolezza; si impongono all’attenzione altrui, portano la calma nel bel mezzo del caos. Penso ad esempio a Le Corbusier, Saul Steinberg o anche Iris Arpfel, per citarne solo alcuni. Riuscite a immaginare il loro sguardo sul mondo senza il filtro di uno spesso paio di occhiali? Non credo proprio. Riconoscereste mai Gitte Lee o Rossana Orlandi senza le loro importanti montature? O David Hockney senza i suoi occhialetti tondi da nerd? Non serve rispondere.

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Se la loro vista fosse stata perfetta, di sicuro non sarebbero stati i geni creativi che il mondo ha celebrato e anche il loro status di icone di stile senza tempo ne avrebbe risentito.

Tralasciando creatività ed eleganza, comunque, è innegabile che gli occhiali celino una magica quintessenza. Sono un segno d’interpunzione che incornicia la parte più espressiva del corpo umano: gli occhi. Gli occhiali (quelli giusti) sono addirittura meglio del make-up. Sono come un restyling grafico, una sorta di chirurgia visiva, un segno di empowerment ottico. Offrono una miriade di opzioni: basta cambiare modello per trasformarsi in persone completamente diverse senza tradire la propria integrità, come veri e propri camaleonti. Vi sentirete davvero diversi, come chi vi scrive può diffusamente testimoniare, in tutta umiltà. A seconda che indossi la mia impalpabile montatura da alchimista in metallo o gli spessi occhiali nero lucido riservati ai rendez-vous accademici assumo un atteggiamento diverso, sempre con sorprendente naturalezza. A modo loro, gli occhiali sono una maschera – una che non nasconde, ma mette in risalto la forza interiore. Alla fine della giornata, o ogniqualvolta se ne presenti l’occasione, potete toglierli e cambiare, senza vincoli.

Vi ho convinti? Spero di sì. Il punto è che i quattr’occhi sono il non plus ultra della stilosità, tanto che gli invidiosi con una vista perfettamente sana arrivano a indossare occhiali senza lenti per il solo gusto di valorizzare il look. Che, in un certo senso, è la mia vendetta. Gli occhialuti sono quelli che soccombono in una rissa o formano il club dei perdenti nello sport. La maggior parte di loro probabilmente è stata anche vittima di bullismo a scuola. Ma nonostante tutto, sono convinto che siano dotati di immani poteri, alla stregua dei supereroi. Perché? Per un motivo molto semplice: quando vogliono, possono guardare il mondo da una nuovo punto di vista – cosa che i comuni esseri umani non possono fisicamente fare. Hanno il privilegio di osservare da almeno due prospettive: au naturel e con una correzione ottica. Io lo faccio sempre la mattina: senza occhiali, continuo a indugiare nel mondo dei sogni per pochi istanti, anche se sono già sveglio. Poi, una volta inforcata la mia arma, tutto diventa nitido e definito e la vita vera può avere inizio. Wallace Stevens sosteneva che la realtà sia il prodotto dell’immaginazione. Condivido pienamente e, in qualità di quattr’occhi, posso confermare che non si tratta di una banale frase d’effetto, bensì di un’esperienza quotidiana.

Concludo qui le mie elucubrazioni, cari lettori. Non mi resta altro da aggiungere per sostenere la mia causa, se non… provate a indossare un paio di occhiali e capirete cosa intendo. Intanto, io esco a fare spese. C’è solo un problema: non trovo i miei occhiali. Di nuovo. Una vecchia storia, che solo un altro quattr’occhi può capire.