Takashi Murakami e gli Arhat

Takashi Murakami in mostra a Palazzo Reale, a Milano, fino al 7 settembre 2014. L’esposizione di opere di pittura e scultura di grandi dimensioni è la prima dell’artista giapponese a tenersi in uno spazio pubblico in Italia,  la bellissima cornice della Sala delle Cariatidi. “Murakami è rimasto profondamente affascinato dalla Sala, così come accadde per Picasso nel ’53, quando decise di inviare anche Guernica proprio perché sarebbe stata esposta qui”,  ha dichiarato Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale. Gravemente danneggiata dal bombardamento del 15 agosto ’43 e poi, a causa del crollo del tetto, dagli agenti atmosferici, la Sala delle Cariatidi si lega perfettamente all’immaginario post atomico di Murakami, soprattutto grazie al restauro della Sala iniziato nel ’47, che ha lasciato volutamente ben visibili le cicatrici provocate dalla guerra. “Inoltre, questa è una vera e propria mostra d’autore, perché è stato l’artista stesso a proporre l’allestimento e a scegliere le opere da esporre”, ha aggiunto Domenico Piraina.

Dopo la grande retrospettiva itinerante © MURAKAMI, quella milanese, Takashi Murakami. Il ciclo di Arhat, a cura di Francesco Bonami e organizzata da Blum & Poe e Kaikai Kiki Co., Ltd., in collaborazione con ALTOFRAGILE e con il supporto di yoox.com, indaga la nuova dimensione sociale post-Fukushima che Murakami ha individuato nella società giapponese. “È un mondo attaccato da forze umane autodistruttive (Hiroshima, ndr) e dalle forze della natura (Fukushima, ndr) –  spiega Francesco Bonami  –  in questo mondo, però, intervengono anche gli Arhat, figure antiche di monaci buddisti, che potremmo definire con un concetto occidentale come dei santi, che guidano l’umanità attraverso le tappe del ciclo della vita”. E proprio tre Arhat di grande formato si trovano al centro del percorso della mostra che si apre accogliendo i visitatori con la scultura dell’Oval Buddha Silver (2008), nel quale come spesso accade nelle opere dell’artista il passato si lega al presente, la tradizione alla modernità. Infine, si trova la serie dei teschi, dipinta appositamente in occasione dell’esposizione e la serie di autoritratti. Qui Murakami si ritrae quasi sempre sull’orlo di un buco nero, ma non c’è dramma, come spiega Bonami, è la semplice presa di coscienza dell’impotenza di fronte all’imprevedibilità dell’universo.  Dunque, quella che l’artista nipponico ci mostra in questi lavori è una società che dall’eterna adolescenza nella quale era stata proiettata dopo Hiroshima, (teoria del Superflat, 2000), viene scaraventata in un’improvvisa maturità da Fukushima.

Inoltre, in occasione della mostra è stata presentata a Milano l’anteprima europea di Jellyfish  Eyes, il primo lungometraggio di Takashi Murakami, al quale seguirà presto il sequel, l’artista ha infatti dichiarato di aver iniziato a lavorare al seguito. Ispirato all’animazione e ai film di mostri giapponesi anni ’50, è il racconto ambientato in un mondo post-Fukushima sull’adolescenza nel Giappone contemporaneo.